Certificati bianchi, ne parliamo con l’ing. Dario Di Santo – direttore FIRE

Certificati bianchi, ne parliamo con l’ing. Dario Di Santo – direttore FIRE
Certificati bianchi, ne parliamo con l’ing. Dario Di Santo – direttore FIRE

Ing. Di Santo, il GME ha pubblicato in newsletter i dati GME dei mercati di dicembre. Ritiene sia possibile approntare qualche valutazione sullo schema dei Certificati Bianchi, in vista della scadenza del 31 maggio e dell’emanazione delle nuove linee guida?

Attualmente si nota una generale riduzione dei certificati immessi sul mercato. Questo trend può dipendere diversi motivi: ridotto apporto di nuovi progetti, completamento della vita utile per una parte dei progetti, ritardi nella valutazione delle pratiche, mancata produzione di TEE da parte di alcuni progetti analitici o a consuntivo.

Nel 2015 sono stati emessi circa 5,5 milioni di titoli (TEE), con un calo di 2,8 milioni di TEE sull’anno precedente e 1,3 milioni di TEE sul 2013…..
In effetti il dato è inferiore anche ai 5,8 milioni di TEE del 2012. Considerando che nello stesso periodo i target sono cresciuti di circa 1,8 milioni di certificati e che nel 2012 l’offerta era in linea con la domanda, questo è un risultato che potrebbe rappresentare un segnale allarmante sulla capacità dell’offerta di soddisfare gli obiettivi attesi. Tra l’altro, lo schema dovrebbe coprire circa il 60% dei target al 2020 secondo la notifica inviata dal MiSE alla Commissione europea in accordo con la direttiva efficienza energetica. Va però evidenziato che il risultato degli anni precedenti è drogato in parte dalla possibilità di presentare progetti già realizzati, aspetto che comportava un’emissione di TEE alla prima richiesta di verifica e certificazione dei risparmi superiore a quella legata ai risparmi annui. Questo effetto è venuto meno completamente nel 2015.

Quale, secondo lei, è la causa primaria di questo blocco del mercato?
Fermo restando che si avrà un quadro più chiaro al 31 maggio, in corrispondenza del termine per presentare certificati per adempiere l’obbligo 2015, in assenza di dati sulle proposte presentate e sui titoli di efficienza energetica in ballo nelle prossime richieste di certificazione è difficile emettere dei giudizi. Potrebbe essere un effetto legato alla necessità del sistema di adeguarsi alle nuove regole introdotte dal D.M. 28 dicembre 2012 – dunque un fenomeno transitorio – o una crescente difficoltà a presentare nuovi progetti, che a sua volta potrebbe dipendere sia da fattori collegati alle linee guida del meccanismo, sia da dinamiche di mercato (di cui però non abbiamo sentore al momento su altri fronti).

Il grafico fa riferimento agli anni solari dal 2013 al 2015 e segnala le emissioni mensili e trimestrali di titoli
Il grafico fa riferimento agli anni solari dal 2013 al 2015 e segnala le emissioni mensili e trimestrali di titoli
La possibilità che ci sia un calo nella presentazione di nuovi progetti è realistica, in quanto l’applicazione dei criteri economici sulla scorta delle linee guide sugli aiuti di stato nella valutazione dell’addizionalità e della baseline non può non avere un peso sulla presentazione di nuovi progetti, in particolare di quelli industriali. Si tratta di decisioni le cui conseguenze si avvertiranno soprattutto nei prossimi anni e che presumibilmente impatteranno in modo rilevante sulla capacità dello schema di raggiungere gli attuali obiettivi. Il tema meriterebbe maggiori approfondimenti, anche in collegamento alle esperienze maturate in altri Paesi (FIRE sta cercando di raccogliere informazioni al riguardo).
Sappiamo inoltre dai nostri associati che alcune pratiche sono caratterizzate da un forte ritardo, talvolta nell’ordine dell’anno. Al di là del fatto che sono problematiche che non dovrebbero presentarsi e che meritano una risoluzione rapida – in quanto determinano problemi nella gestione degli investimenti e dei finanziamenti –, da un punto di vista numerico dovrebbe comunque trattarsi di un fenomeno limitato, in ogni caso di difficile quantificazione in assenza di statistiche sulla valutazione delle pratiche (il GSE sta facendo un ottimo lavoro da questo punto di vista, per cui si spera che si arrivi con i certificati bianchi allo stesso livello d’eccellenza del conto termico in merito alla trasparenza sulla gestione amministrativa dei progetti).
Questo sarà uno dei temi affrontati nella conferenza annuale FIRE “Certificati bianchi: titoli di efficienza energetica a portata di mano”, giunta alla quinta edizione e in programma a Roma il 12 aprile.

Ci può spiegare il perché della riduzione dei risparmi generati?
Da un punto di vista tecnico e di mercato, la riduzione dei risparmi generati da progetti presentati negli ultimi anni può verificarsi perché l’intervento produce una riduzione dei consumi energetici inferiori al passato (e.g. per una stagione invernale più “calda” o perché un certo numero di utenti industriali presenta un calo della produzione) oppure perché vengono riviste le condizioni sulla baseline e l’addizionalità.
In merito alla seconda opzione, alcuni degli interventi più gettonati di questi ultimi anni potrebbero essere stati ritenuti negli ultimi mesi poco o per nulla addizionali, in quanto la loro diffusione ha portato a cambiarne la baseline in settori specifici a anche globalmente. Questa è una dinamica insita nel meccanismo e di per sé non crea problemi, purché ovviamente l’evoluzione tecnologica o la realizzazione di progetti più complessi e integrati contribuiscano a portare nuova linfa allo schema (ovviamente nell’ipotesi che lo schema favorisca questa evoluzione beneficiando con un contributo economico chi realizza gli interventi).
Da un punto di vista amministrativo potrebbe invece manifestarsi l’effetto del cambiamento di regole introdotto dal D.M. 28 dicembre 2012, sia in termini di impossibilità di presentare progetti già realizzati, sia in merito alla revisione di alcuni elementi collegati alle attività di certificazione e verifica dei risparmi. Il primo effetto dovrebbe pesare molto più del primo, comunque sono mutamenti che richiedono qualche anno e studi dedicati per fornire indicazioni chiare sul proprio peso.
In conclusione ciascuno dei quattro elementi sopra menzionati può avere giocato un ruolo nella riduzione dei titoli generati nel corso del 2015. Resta da vedere se da qui a fine maggio si recupererà il gap (oltre quattro milioni di TEE per andare in linea con l’obiettivo complessivo). In ogni caso non dovrebbero verificarsi problemi sulla verifica dell’obiettivo 2015, visto che grazie all’applicazione della flessibilità al 60% risultano disponibili sul mercato circa 5,8 milioni di TEE a gennaio, con un aumento di circa un milione di certificati rispetto al mese precedente (dati GME).

Altre osservazioni?
Se nei primi cinque mesi del 2016 venisse emesso un numero di TEE nell’ordine del 2014 (anno record) si arriverebbe in linea con l’obiettivo 2015. Se ci si fermasse al risultato dello scorso anno mancherebbero all’appello un milione e mezzo di titoli circa. Sarà interessante vedere come evolverà la situazione in relazione al raggiungimento dell’obbiettivo al 2016.

Il grafico riassume la situazione in termini di obiettivi, certificati emessi fra l’1 di giugno e il 31 di maggio di ogni anno e previsione all’anno successivo
Il grafico riassume la situazione in termini di obiettivi, certificati emessi fra l’1 di giugno e il 31 di maggio di ogni anno e previsione all’anno successivo
A prescindere dal risultato, in FIRE abbiamo evidenziato già nel passato l’esigenza di un approfondimento sugli aspetti economici dello schema, su tre punti in particolare. Primo, la capacità di promuovere realmente interventi e non di remunerare azioni già decise, un tema mai indagato in modo approfondito, nonostante la richiesta di materialità della direttiva (e l’esigenza di usare bene le risorse in un periodo di scarsità delle stesse). Secondo, l’eccesso di premialità di alcuni interventi a tempo di ritorno molto basso e addizionalità elevata e viceversa lo scarso supporto di interventi a pay-back lungo e bassa addizionalità (quali quelli sugli edifici). Terzo, la scarsa attenzione data ai benefici aggiunti portati dallo schema, quali il supporto alla crescita e all’evoluzione in ESCO di alcuni operatori, la capacità di rendicontare risparmi effettivi, la raccolta di informazioni sull’evoluzione dei processi industriali e diffusione di know-how fra gli operatori, etc.
Riteniamo che rimangano temi attuali e che meritino di essere affrontati in modo organico nell’ambito delle nuove linee guida, che avranno il non facile compito di superare le attuali problematiche e lanciare lo schema al 2020. Lo schema finora ha prodotto buoni risultati e non va dimenticato che gli obiettivi energetici che lo caratterizzano sono molto elevati, anche in relazione a quanto visto in meccanismi prodotti all’estero. Dunque dinamiche variabili di domanda e offerta sono normali, quello che conta è monitorare le evoluzioni e sapere intervenire quando necessario.

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