Cozze? Offshore …

Cozze? Offshore ...
Cozze? Offshore ...

L’avvertimento arriva da Greenpeace: una parte delle cozze vendute in Italia viene raccolta sui piloni di piattaforme offshore.

L’associazione ha pubblicato i dati – prodotti da ISPRA su committenza di ENI – sulla contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno ad alcune trivelle in Adriatico di proprietà della stessa ENI: quello che emerge è che contengono metalli pesanti e idrocarburi.

In base a quanto si evince dal sito di ENI, da più di 20 anni le cozze presenti sulle piattaforme vengono regolarmente raccolte da alcune cooperative romagnole di pescatori e successivamente commercializzate. Queste cozze coprirebbero il 5% della produzione annuale della Regione Emilia Romagna. Solo nel 2014 sarebbero stati immessi sul mercato italiano 7 mila quintali di cozze “da piattaforma”.
Quali garanzie abbiamo, si chiede Greenpeace, che le cozze “da piattaforma” immesse in commercio non siano contaminate? E lo ha chiesto all’ARPA Emilia Romagna, dal momento che i dati preoccupanti di ISPRA/ENI si riferiscono a 19 piattaforme operanti lungo le coste romagnole.
“Non possediamo dati sulle produzioni di cozze riferibili alle singole piattaforme, ma è un dato di fatto che l’area dove sono situati gli impianti che ENI indica come sede di prelievo commerciale di mitili si sovrappone a quella dove operano alcune delle piattaforme oggetto del nostro rapporto “Trivelle Fuorilegge”.
Molte delle sostanze rinvenute da ISPRA nelle cozze raccolte presso le piattaforme di ENI, come il cadmio e il benzene, sono note per essere cancerogene.”
ENI dichiara che “a salvaguardia di quest’area marina [quella in cui sono raccolte le cozze] vengono effettuati monitoraggi periodici da parte delle Capitanerie di Porto, delle ARPA competenti, di ISPRA e CNR-ISMAR”.
“Per questo – continua Greenpeace – abbiamo chiesto all’ARPA Emilia Romagna informazioni sui dati dei monitoraggi: è urgente avere conferma che le cozze che finiscono nei piatti degli italiani non siano gravemente contaminate come quelle degli studi presentati da ENI al Ministero dell’Ambiente! Non solo: abbiamo sollecitato un rapido intervento delle autorità competenti affinché sia garantita trasparenza. E, se necessario, chiediamo che si attuino tutte le misure necessarie per tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori italiani!”
“Più volte in queste settimane abbiamo sentito dire che le trivelle offshore non sono un problema, perché entro le 12 miglia si estrae soprattutto gas, una fonte molto meno inquinante del petrolio. Voci che non fatichiamo a smentire: i dati di ENI confermano che le piattaforme a gas inquinano, eccome. E da quanto apprendiamo, questi inquinanti rischiano di finire sulle nostre tavole, nei nostri piatti. Un motivo in più per fermare le trivelle votando Sì al referendum del 17 aprile!”

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