Ghiacciai italiani, i dati del nuovo catasto

Ghiacciaio Vedretta de La Mar, Trentino
Ghiacciaio Vedretta de La Mar, Trentino

Sono stati resi noti oggi, all’Università degli Studi di Milano, in occasione di uno degli appuntamenti “Aperitivo Expo 2015”, i risultati del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, progetto realizzato dall’Università degli Studi di Milano e da Levissima, in collaborazione con Ev-K2-CNR e con il supporto scientifico del Comitato Glaciologico Italiano. Il progetto, che ha ricevuto il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e del World Glacier Monitoring Service, è stato avviato nel 2012 con l’obiettivo di aggiornare i dati dei due precedenti catasti, realizzati dal Comitato Glaciologico Italiano (CGI) rispettivamente nel 1959-1962 e nel 1981-1984.

Durante la conferenza è stato fornito un quadro del glacialismo italiano e delle relative evoluzioni, dagli anni ’50 ad oggi, per capire lo “stato di salute” del cuore freddo delle nostre Alpi, principale indicatore dei cambiamenti climatici in atto.
896 sono i corpi glaciali oggi presenti sulle montagne italiane, per una superficie complessiva confrontabile a quella del Lago di Garda, ovvero 368 km2
Dagli anni ’50 sono cresciuti in numero, a causa di un’intensa frammentazione (da 824 a 896), e si è fusa una superficie glaciale di 151 km2, pari a quella del Lago di Como; dagli anni ’80 la superficie glaciale si è contratta, passando da 609 km2 agli attuali 368 km2. 
Sono numerosi, frammentati e di piccole dimensioni (si stima un valore areale medio 0,4 km2), ad eccezione di 3 ghiacciai, che presentano un’area superiore ai 10 km2: i Forni, in Lombardia, il Miage, in Valle d’Aosta, e il complesso Adamello-Mandrone, in Lombardia e Trentino. Quest’ultimo detiene il primato e rappresenta in assoluto il più vasto ghiacciaio italiano, 16,44 km2; ha una forma insolita, che ricorda i grandi ghiacciai della Scandinavia, caratterizzata da un altopiano da cui si diramano tante lingue. Curiosamente ha tolto il primato al Ghiacciaio dei Forni, in Valtellina, non perché l’Adamello-Mandrone si sia ingrandito in modo particolare, ma perché è stata creata una nuova suddivisione su basi glaciologiche. Mentre nel precedente catasto veniva suddiviso in numerosi ghiacciai, recenti rilievi di spessore hanno mostrato che si tratta di un grande corpo glaciale unitario.

In Italia predominano oggi i ghiacciai di tipo “montano”, che rappresentano il 62%, seguiti dai “glacionevati”, 35%, e in misura molto ridotta, 3%, dai grandi ghiacciai “vallivi”.
I ghiacciai italiani sono presenti in tutte le regioni alpine, ma con una distribuzione molto diversificata che dipende, almeno in parte, dalle quote dei massicci montuosi: si passa, infatti, dai 134 km2 della Valle d’Aosta, agli 88 km2 della Lombardia, agli 85 km2 dell’Alto Adige per arrivare ai 3,2 km2 del Veneto e agli 0,2 km2 del Friuli-Venezia Giulia. Va anche ricordato che i ghiacciai italiani sono tutti collocati sulle Alpi, con un’unica eccezione: il Calderone in Abruzzo (0,04 km2 di area), ultimo residuo della glaciazione appenninica, ormai frammentato in due parti.
“Nonostante sia tutt’ora in atto una lunga fase di regresso glaciale, l’incremento della copertura detritica superficiale potrebbe ridurre i ritmi di fusione, mentre l’incremento di polveri naturali o antropiche potrebbe aumentarla. La variabilità meteo-climatica, con inverni molto nevosi ed estati fresche ed umide, favorirebbe inoltre periodi di rallentamento di questa attuale fase negativa. A fine estate 2013, ad esempio, la riduzione di spessore di molti ghiacciai italiani è stata minore rispetto a quella registrata negli anni precedenti, a causa delle forti nevicate dell’inverno 2012-2013. E’ chiaro che, per avere una vera e propria inversione di tendenza, dovrebbe verificarsi una successione, almeno decennale, di queste caratteristiche meteo-climatiche, come quella del 1965-1985.”, spiega il professor Smiraglia, a capo del progetto di ricerca.
E’ dunque chiaro come i ghiacciai, che rappresentano da sempre un’importante risorsa idrica, energetica, paesaggistica, siano diventati in questi ultimi anni il simbolo più tangibile ed affidabile delle rapide trasformazioni climatiche che il nostro pianeta sta vivendo. 

 

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